Riflessioni sul trattamento fasciale osteopatico per il sistema nervoso periferico

Nervo in sezione trasversale

Bordoni Bruno1-3, Bordoni Giovanni 2

Il nervo periferico è costituito da diversi strati di tessuto fasciale, i quali possono diventare fonte di dolore se è presente un impedimento al loro scorrimento. L’osteopatia fasciale solo recentemente ha iniziato a cercare di comprendere cosa accade alla fascia a seguito di un trattamento, e dalle prime evidenze possiamo metterne in luce alcuni benefici, tra cui una riduzione locale del dolore e dell’infiammazione.

L’approccio osteopatico sul sistema fasciale del nervo periferico non ha evidenze legate alla ricerca scientifica, se non basate sull’esperienza clinica dei singoli operatori, nonostante la palpazione dei nervi periferici sia usata come valutazione per testarne la funzione.

Gli autori desiderano stimolare l’ambiente accademico e osteopatico nell’iniziare nuove ricerche, indirizzate a quantificare i possibili benefici che il paziente potrebbe trarre da un trattamento osteopatico del nervo periferico.

Introduction

Il nervo e le sue strutture cambiano e sono soggetti alla legge della neuroplasticità: si adattano riflettendo lo stimolo presente (meccanico, biochimico, elettrico, metabolico).1
La struttura nervosa periferica è sottoposta a un carico tensionale meccanico quotidiano, come quando un articolazione si muove, subendo una compressione e uno stiramento. Questo stress meccanico può uscire dai confini fisiologici quando è presente un trauma diretto al nervo o ai tessuti circostanti.2

Il carico tensionale fisiologico permette al nervo di rigenerarsi, tramite sostanze autocrine e paracrine, generate dalla medesima struttura nervosa.3 Le molecole sintetizzate sono molteplici, con differenti funzioni a seconda del sito di produzione, della loro quantità e in base alle combinazioni che avvengono; cambia anche la loro direzione e forza di propulsione.4,5

Lo scorrimento proprio delle strutture fasciali che compongono il nervo e lo scivolamento del nervo tra i vari tessuti che attraversa e innerva diventa fondamentale, in modo che lo stress meccanico possa dialogare correttamente con la capacità di adattamento e rigenerazione del nervo.6

Un impedimento di tale scorrimento porterà a disfunzione e patologia.7 Tutte le informazioni biochimiche trasportate dal nervo non hanno la mera funzione di operare solo sul sistema nervoso, ma sono in grado anche aiutare il trofismo e la funzione dei tessuti che il nervo attraversa e innerva.8

I nervi possiedono una struttura fasciale ripartita in tre strati: l’endonevrio; il perinevrio; l’epinevrio. Tuti gli strati sono innervati e hanno un sottile ma potenzialmente importante plesso di nocicettori.9

L’epinevrio è composto soprattutto da collagene di tipo I e III, fibroblasti, mastociti e cellule adipose. L’epinevrio interfascicolare è attaccato lassamente al perinevrio, favorendo così lo scivolamento dei vari fascicoli. Nei nervi grossi, si riscontra abbondante epinevrio, in modo da disperdere maggiormente le forze compressive.

L’epinevrio è attaccato alle componenti paraneurali fasciali del tessuto connettivo che circonda il nervo. È il prolungamento della dura madre. I vasi entrano nell’epinevrio in forma arrotolata (per adattarsi meglio alle sollecitazioni in allungamento del nervo), e periodicamente lungo la sua lunghezza, formando i vasa nervorum. Sostiene quindi i vasi sanguigni, mantenendo costante la micro-vascolarizzazione del nervo. Sostiene anche i nervi nervorum (fibre nervose sensitive) provenienti dal nervo stesso. Contribuisce alla resistenza tensile del nervo e allo scorrimento, ma non ha funzione di barriera.10,11

Il perinevrio avvolge i filamenti di assoni con un denso tessuto connettivale e a seconda della dimensione del nervo, gli strati di avvolgimento possono arrivare a 15. Possiamo riscontrare fibre di collagene di tipo I e II, e altre cellule con vettori differenti; modulano la tensione registrata dal nervo, regolando così la pressione intraneurale. Le cellule perineurali sintetizzano numerose sostanze e sono in stretto contatto con collagene di tipo IV e laminina, fungendo ulteriormente da ammortizzatore. È un tessuto molto più elastico rispetto all’epirinevrio.

Un altro dei compiti fondamentali del perinevrio è quello di fungere da barriera ematica, ovvero, il non permettere a tutte le sostanze filtrate di giungere all’endonevrio. Le arteriole che giungono al perinevrio e lo penetrano, formano un angolo obliquo; questi vasi hanno poco sviluppato la muscolatura liscia e non possiedono quindi una grande capacità intrinseca di regolare il flusso sanguigno. Ancora, il perinevrio svolge importanti funzioni di riparazione del tessuto nervoso.10,11

L’endonevrio contiene i singoli assoni avviluppati diverse volte da cellule di Schwann; questo lenzuolo è avvolto a sua volta da cellule di collagene di tipo IV, fibronectine, laminina e proteoglicani. Interposti tra i vari filamenti ritroviamo il collagene di tipo I e II con un orientamento longitudinale, mastociti e macrofagi e fluido endoneurale (70% acqua). Nell’endonevrio, i capillari che vi penetrano aumentano la loro dimensione, permettendo al flusso sanguigno di dirigersi in diverse direzioni. Le arteriole, però, sono strettamente avvolte da cellule endoneurali, in modo da creare un’ulteriore barriera al sangue. Molto probabilmente, il flusso sanguigno entra in contatto con l’endonevrio tramite diffusione. Garantisce un ambiente di pressione costante, con una lieve pressione positiva in tale spazio. Le venule riporteranno il sangue nel sistema venoso. Il sistema linfatico, invece, è presente solo nell’epinevrio; non ci sono vasi linfatici di drenaggio all’interno del nervo.10,11

I nervi nervorum, ovvero, il nervo del nervo, possono evocare una locale neuro-infiammazione quando sussiste un danneggiamento o stress meccanico non fisiologico del tessuto nervoso, cercando di aiutarne la riparazione.9 Il sistema fasciale nervoso innervato dai nervi nervorum può diventare fonte di dolore locale.9 Un altro motivo del dolore causato dal sistema fasciale nervoso e collegato sempre a disfunzioni non fisiologiche assonali e capaci di generare il dolore disestesico o distante (per fare un esempio, quando si allunga la gamba e si evoca dolore derivante dalla trazione del nervo sciatico, durante un test), deriva direttamente dalle strutture fasciali dell’assone. Le sue strutture fasciali diventano più sensibili alla stimolazione meccanica e dopo pochi giorni d’infiammazione locale sono in grado di generare un potenziale di azione simile allo stimolo meccanico che ne ha causato la disfunzione, capace di andare per via anterograda e retrograda. Questo meccanismo prende il nome di elettrogenesi ectopica.9 Tale situazione non fisiologica può necessitare da una settimana a 2 mesi per scomparire, e coinvolgerebbe solo l’epinevrio e il perinevrio.9 Possiamo fortemente ipotizzare che se sussiste un impedimento di scorrimento del nervo, tra i suoi vari strati e i tessuti che attraversa, il suo sistema fasciale potrà generare dolore locale e disestesico.

Quando sussiste un impedimento di scorrimento del nervo, aumenta la rigidità delle sue strutture fasciali durante il movimento articolare, e questo è ancora più vero quando l’articolazione è mossa con rapidità, come un gesto quotidiano.10 Un nervo in allungamento causa una riduzione del suo diametro, definita come contrazione trasversa, con un incremento della pressione del compartimento endoneurale.10 Il ritorno alla dimensione e alla lunghezza di riposo si basano soprattutto sul tessuto perineurale, mentre il tessuto endoneurale possiede meno compliance elastica.10 Una diminuita capacità di allungamento del nervo potrebbe lesionare l’integrità endoneurale, prima di una lesione visibile all’epinevrio.10 Ripetitivi allungamenti di un nervo con una proprietà fasciale di elasticità ridotta, indurranno ulteriore incapacità di scorrimento del nervo, diminuendo il flusso sanguigno e con probabili processi di ischemia.10 Per fare un esempio, lo stesso utilizzo del mouse del computer per un periodo prolungato porta a ridurre la capacità di scorrimento del nervo mediano a livello del tunnel carpale, con possibili patologiche conseguenze di compressione nervosa, includendo la formazione di edema, infiammazione e produzione di aderenze, con dolore e riduzione del flusso assonale.10 (Figura 2)

L’edema si riscontra a livello intraneurale, ed è una comune risposta ad un trauma, dalla compressione, all’eccessiva tensione o vibrazione. Un leggero trauma può dare già edema, più superficialmente, a livello epineurale; questo si può trasformare in edema intraneurale se la compressione continua, creando una sindrome mini-compartimentale del nervo, a causa anche dell’assenza di vasi linfatici nell’endonevrio. Il tutto porterà ad adesioni fibrose, decrementando lo scivolamento dei tessuti intra-fascicolari. La fibrosi potrebbe portare a un ispessimento del nervo, aumentando la compressione, sia all’interno, sia all’esterno dei tessuti. Questo è ancora più riscontrabile, quando il nervo attraversa piccoli spazi.12 La situazione descritta genererà ancora un quadro sintomatologico di dolore.
I nervi periferici hanno minori protezioni, rispetto al sistema nervoso centrale con la scatola cranica, e subiscono una serie di traumi con un riscontro più frequente.13 Proprio per motivi anatomici, molti nervi periferici si possono palpare e muovere direttamente.9

Osteopatia fasciale

n letteratura scientifica esistono pochi testi sul trattamento manuale del sistema nervoso periferico. Si riscontra più frequentemente l’approccio di neurodinamica o tecnica di mobilizzazione neurodinamica. È una terapia usata da operatori manuali con l’intento di permette un adeguato scorrimento del nervo periferico e dei tessuti circostanti, con due modalità in particolare: tecnica di scivolamento o tecnica di messa in tensione del percorso del nervo.13 Studi su modello umano sono scarsi, non ci sono dati precisi sulla modalità di movimento da espletare sul paziente per lavorare il percorso del nervo, così da ottimizzare la tecnica, mancano protocolli di lavoro specifici, e non sempre si riscontra una positività clinica.14-19

In ambito osteopatico non esistono dei testi scientifici che trattino della palpazione o di tecniche manuali applicate direttamente sul nervo periferico, nonostante esista un testo cartaceo che insegna e mostri come l’operatore osteopata possa palpare e trattare le emergenze più superficiali nel percorso del nervo.20

L’osteopatia fasciale si pone come obiettivo di migliorare lo scorrimento dei tessuti, implementando il trofismo e la salute dei vari strati fasciali, con molteplici risposte locali e sistemiche.21 La tecnica osteopatica fasciale dolce consiste nell’applicazione di un allungamento a basso carico e di lunga durata nel complesso miofasciale, inteso a ripristinare la lunghezza ottimale di questo complesso.21 L’operatore appoggia la mano sulla restrizione fasciale avvertita precedentemente con la palpazione, con diverse modalità di approccio, sino a che la resistenza percepita scompare o diminuisce notevolmente, inducendo o frenando la direzione preferenziale del tessuto.21,22 Il lasso di tempo di durata della tecnica varia in base alla risposta del paziente.22 In letteratura si riporta come il miglioramento dello scorrimento dei differenti strati fasciali, tramite applicazioni manuali, sia in grado di diminuire il quadro sintomatologico del dolore e ridurre il livello infiammatorio locale.21,23

La palpazione dei nervi periferici è fattibile e viene impiegata anche come valutazione della funzione nervosa.24,25 La nostra esperienza clinica ci spinge a supportare il trattamento fasciale osteopatico sul nervo periferico, portando forti motivazioni per l’inizio di nuove ricerche orientate nel conoscere cosa accade al nervo con tali tecniche, e quantificarne il beneficio per il paziente. Occorre ricordare che la medicina basata sull’evidenza si fonda non solo sulla ricerca scientifica messa in luce da un articolo, ma anche dall’esperienza del paziente al trattamento e l’esperienza clinica dell’operatore.26

Per fare qualche esempio di trattamento della fascia per il nervo periferico, si pongono le dita o un dito sull’emergenza nervosa: a livello del gomito sul tunnel cubitale, dove passa il nervo ulnare; a livello del terzo medio laterale dell’omero, dove passa il nervo radiale.24 (figura 3)

A livello del tunnel cubitale, si riscontrano numerose problematiche di compressione ulnare, mentre l’area omerale è soggetto a traumatismi diretti che possono creare disturbi al nervo radiale (Figura 4).27-29

La metodica del trattamento delle emergenze del nervo periferico è relativamente semplice e non invasiva. Una volta in contatto palpatorio con l’emergenza e l’area più superficiale del ramo nervoso, si applica la tecnica fasciale osteopatica, attendendo il rilascio del tessuto sotto le dita.21 Usualmente l’area interessata dal trattamento avrà delle caratteristiche di durezza tissutale, con difficoltà di scivolamento dei vari strati sotto le dita: la tecnica termina quando si ripristina o ci si avvicina il più possibile ad un’area tissutale più soffice e scorrevole.

Conclusioni

Il nervo periferico è costituito da diversi strati di tessuto fasciale, i quali possono diventare fonte di dolore se è presente un impedimento al loro scorrimento, tra i medesimi foglietti di rivestimento o tra il nervo e i tessuti circostanti. L’osteopatia fasciale solo recentemente ha iniziato a cercare di comprendere cosa accade alla fascia a seguito di un trattamento, e dalle prime evidenze possiamo metterne in luce alcuni benefici, tra cui una riduzione locale del dolore e dell’infiammazione. L’approccio osteopatico sul sistema fasciale del nervo periferico non ha evidenze legate alla ricerca scientifica, se non basate sull’esperienza clinica dei singoli operatori, nonostante la palpazione dei nervi periferici sia usata come valutazione per testarne la funzione. Gli autori desiderano stimolare l’ambiente accademico e osteopatico nell’iniziare nuove ricerche, indirizzate a quantificare i possibili benefici che il paziente potrebbe trarre da un trattamento osteopatico del nervo periferico.

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