Il tocco osteopatico: tra arte e neuroscienze

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Il tocco è frequentemente usato come mezzo di comunicazione, per trasmettere messaggi positivi e piacevoli come nei casi in cui si vuole infondere al ricevente rassicurazione, conforto, simpatia e supporto (Hertenstein et al., 2006b). Per il destinatario, il tocco di un’altra persona può essere rassicurante (Feldman et al., 2010b), dare origine a sensazioni piacevoli (Morrison et al., 2010) e cosa molto importante in ambito terapeutico, avere la capacità di sopprimere o ridurre il dolore e le emozioni negative (Coan et al., 2006; Liljencrantz et al., 2012; Mancini et al., 2015).

La piacevolezza del tocco percepita dal ricevente è intrinsecamente correlata alle caratteristiche fisiche degli stimoli tattili, come la morbidezza (Rolls et al., 2003), la temperatura (Ackerley et al., 2014), la forza e velocità (Löken et al., 2009). I segnali provenienti da recettori periferici vengono elaborati e modulati da diversi meccanismi “top–down” prima che l’esperienza soggettiva del tatto si presenti nel cervello (Kveraga et al., 2007; Ellingsen, 2014). Se da un lato il tocco può essere utilizzato e percepito come esperienza positiva, dall’ altro lato l’esperienza edonica del tocco può essere capovolta dal piacere al dispiacere se le intenzioni percepite o l’identità di chi tocca non corrisponde alle preferenze del destinatario del tocco (Gazzola et al., 2012). Ciò porta a comprendere come, sopratutto per i terapisti manuali, la capacità di comunicare con il tocco, di utilizzarlo come mezzo terapeutico e anche di rafforzare il tocco terapeutico creando empatia e aspettativa positiva al paziente utilizzando sia un linguaggio verbale che non verbale, permette di raggiungere il massimo che si può ottenere come risultato terapeutico, ovviamente ciò dipende anche dallo specifico caso clinico e dai limiti, se presenti in quella situazione, della terapia manuale.

Qual’ è il processo con cui il paziente percepisce e valuta il tocco del terapista?

Johansen-Berg et al. (2000) spiega come in primis il paziente ricava le informazioni sensoriali a livello periferico ed entrano nella consapevolezza soggettiva attraverso la ‘porta dell’attenzione’. In parole più semplici, ci si accorge del tocco solo quando si presta attenzione, un esempio può essere quando ci sediamo: si potrebbe non essere consapevole della pressione fisica della sedia che preme contro la pelle fino a quando non rivolgiamo l’attenzione in modo specifico al contatto tra noi e la sedia, quando noi rivolgiamo l’ attenzione verso quello stimolo (Schubert et al., 2008).

Nella seconda fase, quando si è consapevoli dei segnali sensoriali ricevuti, la sensazione risultante è influenzata dai modelli preesistenti del cervello o da previsioni della situazione vissuta, di ciò che significano questi segnali sensoriali, che sono modellati dall’apprendimento (Kersten et al. , 2004; Schmack et al., 2013).

Successivamente nella terza fase si da importanza anche a stimoli non tattili, vale a dire per esempio a segnali visivi e uditivi che possono rafforzare positivamente o negativamente il potere del tocco (Macaluso and Driver, 2001; Suvilehto et al., 2015) ma anche lo stato d’ animo e l’ umore (Triscoli et al., 2014) influenzando la risposta del paziente. Anche il sorriso associato al tocco gioca un ruolo fondamentale. In uno studio di Ellingsen et al. (2014) si è dimostrato che la presentazione visiva di volti con espressioni emotive differenti ha influenzato la piacevolezza degli stimoli tattili concomitanti. I partecipanti allo studio hanno valutato il tocco come più piacevole se combinato con una fotografia di un volto sorridente e meno piacevole se combinato con un volto triste.

Oltre a tutto ciò, anche gli odori possono influenzare in maniera importante il giudizio del tocco ricevuto. Croy et al. (2014) hanno mostrato che gli odori disgustosi presentati contemporaneamente a un tocco delicato riducevano la piacevolezza di questo tocco.

In ambito clinico, il terapista non solo dovrebbe indagare sul tipo di dolore o disfunzione che presenta il paziente, ma essere a conoscenza di come il dolore e la mancanza di affetto (come nei casi di dolore cronico e depressione) possano ridurre a loro volta la capacità di provare piacere (Pizzagalli et al., 2008; Romer Thomsen et al., 2015).

Per capire come le esperienze tattili vengano elaborate nel cervello, è utile esaminare innanzitutto come gli stimoli tattili siano trasmessi dalla periferia al cervello e, in secondo luogo, come questi segnali vengano modificati e integrati con le informazioni dall’alto verso il basso (top-down information).

L’elaborazione del tocco inizia con l’attivazione di afferenze meccanorecettive nella pelle, in particolare le afferenze C-tattili (CT) non mielinizzate a conduzione lenta che rispondono a stimoli che si muovono lentamente sulla pelle, come una carezza o come tecniche dolci utilizzate dal terapista manuale. Questo tipo di tocco permette al paziente di percepire la piacevolezza del tocco (Löken et al., 2009; Olausson et al., 2010; McGlone et al. , 2014 e moltissimi altri studi). Inoltre
grazie ad uno studio di Ackerley et al. (2014) si è dimostrato che le CT si attivano più vigorosamente in risposta a stimoli tattili che sono vicini alla temperatura cutanea, ma meno a stimoli più freddi o più caldi e da ciò si può dedurre anche l’ importanza di un’ adeguata temperatura della mano del terapista manuale in relazione alla temperatura del paziente.

Quali effetti può avere il tocco a livello ormonale?

Diversi studi indicano che l’ossitocina sopprime l’attività dell’asse HPA indotto dallo stress (McGlone et al 2016). Nell’uomo, l’ossitocina riduce il rilascio dell’ormone adrenocorticotropo (ACTH) e del cortisolo in risposta a stimoli stressanti e si è dimostrato che comportamenti affiliativi specifici come il grooming sociale (Francis et al., 2000; Champagne, 2008) e l’accudimento materno (Pedersen et al., 1982; Bosch, 2011) sono
associati al rilascio di ossitocina e questo effetto si pensa si abbia anche durante il trattamento manuale terapeutico sopratutto se il ricevente è predisposto positivamente a ricevere il trattamento.
Un altro importante studio di Field et al. (2005) ha mostrato come il trattamento manuale aumenta la dopamina e la serotonina urinarie e riduce il cortisolo urinario e salivare dimostrandone l’ effetto benefico e terapeutico.

In conclusione si può affermare che il tocco nel trattamento manipolativo osteopatico (OMT) è il mezzo di comunicazione con i sistemi muscoloscheletrico, immunitario, nervoso ed endocrino (Elkiss et al. 2012). In osteopatia il tocco è utilizzato sia come mezzo diagnostico, sia come strumento terapeutico (Baroni et al 2020). La comunicazione empatica attraverso la parola o l’azione (Rizkalla et al. 2018), consente un risultato terapeutico migliore. L’osteopata ha una grande abilità palpatoria, e con la costante pratica e la conoscenza teorica, può raggiungere livelli di efficacia terapeutica davvero straordinari.

Buon anno a tutti!
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