Fascial Nomenclature: Update 2022

diagramma oscillazioni fasce

Bruno Bordoni, Allan R Escher, Filippo Tobbi, Luigi Pianese, Antonio Ciardo, Jay Yamahata, Saul Hernandez, Óscar Sánchez Martínez.

Abstract

Il tessuto connettivo o fascia svolge ruoli fondamentali per il mantenimento della funzione e della salute corporea. La fascia è costituita da porzioni solide e fluide, le quali si interpenetrano e interagiscono tra loro, formando una rete tridimensionale polimorfa. Nel vasto panorama della letteratura non si trova univocità di pensiero sulla nomenclatura e sulla terminologia che meglio rappresenta il concetto di fascia. The Foundation of Osteopathic Research and Clinical Endorsement (FORCE) raggruppa diverse figure scientifiche in un’ottica multidisciplinare. FORCE cerca di trovare una nomenclatura comune che sia condivisibile, partendo dalle nozioni scientifiche attualmente disponibili. La conoscenza del continuum fasciale dovrebbe essere sempre al servizio del clinico e mai diventare un’esclusiva per la presenza di copyright, o mercificata per il guadagno di pochi. FORCE è un’organizzazione no-profit al servizio di tutte le figure professionali che si occupano della salute del paziente. L’articolo rivede i concetti della fascia, includendo alcune materie scientifiche raramente prese in considerazione, per ottenere una comprensione dell’argomento fasciale più ampio, e proponendo nuovi concetti, come la fascia olografica.

Introduzione

Il tessuto fasciale nell’immaginario collettivo viene associato a una struttura solida, da cui possono scaturire problematiche legate al dolore o a un disturbo delle funzioni motorie. Nonostante il facile collegamento tra fascia solida e comportamenti funzionali o sintomatologici che possono scaturire da tale tessuto, quando cerchiamo di approfondirne le reali connessioni e/o funzioni, non abbiamo informazioni precise. Per fare alcuni esempi, la fascia iliotibiale (ITB) è connessa ai muscoli come il gluteus maximus and il tensore della fascia lata; un’alterazione della struttura e funzione della ITB provoca dolore e una disturbata distribuzione delle tensioni meccaniche subite dall’area del ginocchio [1]. La sindrome della ITB, nonostante l’anatomia descrive dove è posizionata e l’istologia descrive la struttura morfologica, non conosciamo dettagliatamente come avvengono gli scambi di informazione biomeccanica tra le adiacenti strutture miofasciali e la ITB, così come non capiamo perché tale area si comporta in modalità differente in soggetti diversi [1,2]. Non c’è sempre accordo sulla definizione o descrizione o della funzione delle differenti aree fasciali. La precaecocolic fascia o membrana di Jackson viene descritta in modalità differente (lunga o corta, spessa o sottile, traslucida o opaca, membrana o fascia), a seconda della soggettività anatomica, la quale funzione non è sempre nota [3]. Cambia il valore della fascia in base alla figura sanitaria. Per il chirurgo la fascia endopelvica è una struttura che riveste un ruolo importante per la funzione e il sostegno dei visceri, mentre per l’anatomista è uno strato debole costituito di tessuto areolare con la funzione di coprire i visceri pelvici [4]. Con l’avanzare della tecnologia si osservano strutture più dettagliate, nominando un determinato tessuto con nuove terminologie o sostituendo quelle precedenti. Il circumneurium sostituisce il precedente nome di paraneurium o paraneural sheath, ovvero un tessuto non neurale o fascia che ricopre più nervi ed è più esterno rispetto allo strato sottostante o epineurium, il quale ultimo si divide in un confine esterno e uno interno; l’epineurium può contenere nel suo spessore (interno ed esterno) dei compartimenti contenenti adipociti, i quali potrebbero essere assenti o presenti a seconda dello spessore globale del nervo [5]. Non conosciamo nel dettaglio le funzioni di tale circumneurium rispetto alla biomeccanica del nervo e rispetto ai tessuti circostanti [6]. Con il miglioramento delle tecniche chirurgiche che vanno di pari passo con la ricerca, aumentano le descrizioni delle diverse relazioni e delle continuità anatomiche fasciali. Sistema aponeurotico muscolare superficiale (SMAS) è un’area anatomica importante per la chirurgia plastica facciale, la quale mette in collegamento la zona superficiale del labbro superiore, il piega nasolabiale, la porzione frontale, parotidea, zigomatica e quella infraorbitale, parte del muscolo platisma e del muscolo sternocleidomastoideo, creando una complicata rete fasciale [7]. Il chirurgo deve considerare tali collegamenti prima di organizzare l’intervento chirurgico. La continuità fasciale può essere fonte di dolore, in condizioni patologiche croniche o acute; un trattamento manuale mirato al sistema fasciale può alleviare i sintomi associati. In pazienti con artropatia emofila del gomito si evince che un trattamento manuale migliora il quadro sintomatologico e la qualità di vita; diminuisce la percezione del dolore sternale, con miglioramenti funzionali respiratori, in pazienti sottoposti a sternotomia mediana per cardiochirurgia tramite trattamenti manuali fasciali [8,9]. Per il medico è importante conoscere esattamente dove effettuare l’applicazione di una terapia farmacologica sottocute. In caso di sindrome del dolore trocanterico maggiore diventa fondamentale l’uso dell’ecografo (blocco del piano fasciale ecoguidato) per discernere la profondità e la locazione delle strutture anatomiche fasciali, per inserire correttamente l’ago; così come il medesimo approccio valutativo (ecografia fasciale) può essere utilizzata per altre procedure chirurgiche di anestesia [10,11]. Il tessuto fasciale può presentare delle alterazioni strutturali, come ad esempio delle ossificazioni, senza apparenti disturbi funzionali o dolore; oppure, una variante fasciale non registrata dalla letteratura in precedenza, viene messa in evidenza, senza necessariamente conoscerne la funzione [12,13]. L’articolo rivede l’evoluzione storica della fascia, l’evoluzione di alcuni modelli teorici per comprendere la fascia, e con uno sguardo ad alcune materie scientifiche non sempre prese in considerazione dalla molteplicità delle pubblicazioni.

Evoluzione storica della fascia

I primi a capire che la fascia è un sistema complesso dal punto di vista anatomico furono gli antichi Egizi (2.500 AC); la fascia è una latinizzazione del termine greco «taenia –ταινία» (nastro/fascia), mentre i romani ne fecero anche il plurale «fasciae» e «fascia» come sostantivo singolare [14]. Nel 1615 Crooke usò il termine fascia come una struttura anatomica, seguito poi da altri Autori, in particolare per identificare una membrana, una struttura che collega e sostiene. Nel 1700 si iniziò a usare diversi termini per indicare qualcosa di membranoso, aponeurotico e tendineo, soprattutto legato all’anatomia dei muscoli scheletrici [14]. Nel 1780 il Dr. Simmons iniziò a comprendere che la fascia o tessuto connettivo coinvolgeva gran parte del corpo, lo connetteva e ricopriva vasi, nervi e organi [14]. Nella prima metà del 1800 si iniziarono a dare diversi nomi alla fascia, in base alla collocazione, funzione, forma, soprattutto inerente alla muscolatura. Nel 1851 il Dr. Wilson iniziò a parlare di strati, definendo la fascia a partire dal derma (sotto l’epidermide); il concetto lo ritroviamo nel libro di anatomia del Gray del 1858 (Pag 186-187) [14]. Nel ventesimo secolo, dopo molte pubblicazioni impiegando il termine fascia, escono alcune precisazioni anatomiche sulla terminologia ad opera di alcuni gruppi di anatomisti e ricercatori, come il Comitato Internazionale per la Nomenclatura Anatomica (1983) e il Comitato federativo di terminologia anatomica (1998). Questi ultimi due gruppi mettono in evidenza alcune parole come “fascia superficialis”, “fascia profunda”, paragonando il tessuto fasciale come “guaine, fogli o altre aggregazioni di tessuto connettivo dissecabili” [14]. Si diede il nome in base al tessuto relazionato e alla profondità degli strati tissutali (visceral fascia, fascial planes, fascial system, investing fascia); verso la fine del 1900 si iniziò a discutere sul fatto che la fascia è un tessuto connettivo in continuità con tutti gli altri tessuti connettivi (senza inizio e senza fine) [14]. Nel ventunesimo secolo, il Fascia Research Congress (FRC) (2007) iniziò a considerare alcune nuove strutture facenti parte della fascia, come le joint capsules [14]. Dal FRC del 2014 nacque un gruppo di esperti, il Fascia Nomenclature Committee (FNC), il quale nel 2019 ribadì il proprio concetto di fascia: “a fascia is a sheath, a sheet, or any other dissectible aggregations of connective tissue that forms beneath the skin to attach, enclose, and separate muscles and other internal organs” [15]. Per la FNC il concetto di fascial system è contenuto della seguente definizione: “consists of the three-dimensional continuum of soft, collagen containing, loose and dense fibrous connective tissues that permeate the body. It incorporates elements such as adipose tissue, adventitiae and neurovascular sheaths, aponeuroses, deep and superficial fasciae, epineurium, joint capsules, ligaments, membranes, meninges, myofascial expansions, periostea, retinacula, septa, tendons, visceral fasciae, and all the intramuscular and intermuscular connective tissues including endo-/peri-/epimysium. The fascial system surrounds, interweaves between, and interpenetrates all organs, muscles, bones and nerve fibers, endowing the body with a functional structure, and providing an environment that enables all body systems to operate in an integrated manner” [16]. Se diamo uno sguardo alla letteratura che appare su PubMed, il primo testo che cita la fascia in ambito medico e clinico, viene datato 1814, mentre il termine “fasciæ” compare in un journal del 1824 [17,18]. Il termine myofascial lo possiamo leggere per la prima volta in un articolo del 1952 [19]. Solo nel 1991 vennero usate le parole “fascial system” per cercare di descrivere il continuum fasciale [20]. Se osserviamo attentamente la letteratura su PubMed, altri termini sono stati usati per definire e dare un’idea della continuità fasciale, prima dei termini più familiari attuali (fascial system): superficial musculoaponeurotic system; connective tissue system; fibroelastic network; fascial plane system; myoelastic system; musculoperiosteal system and fascioperiosteal system; elastic system; fasciocutaneous system [21-29]. Nel 2019 la Federative International Programme for Anatomical Terminology (FIPAT), l’organizzazione che racchiude gli anatomisti (International Federation of Associations of Anatomists – IFAA), diede un aggiornamento sul concetto di fascia: “Fasciae/fascia of muscles (deep fascia); investing fascia; fascia of individual muscle (fascia sheath); intermuscular septum; compartment; retinaculum (fasciae of body cavities); parietal fascia; visceral fascia/fasciae; extraperitoneal fascia (extraserosal fascia); extraperitoneal ligament; superficial/deep, middle layer/investing; aponeurosis; membrane; ligament; visceral ligament; tendinous; ring; canal; hiatus; triangle; fat” [30]. Quello che emerge da tutte queste definizioni e terminologie, è che la fascia e la sua continuità vengono considerati solo come un tessuto solido, e con un’ottica anatomica, istologica e topografica. Nel panorama della letteratura scientifica, possiamo ritrovare un’altra organizzazione (no-profit), ovvero, the Foundation of Osteopathic Research and Clinical Endorsement (FORCE); quest’ultima racchiude diverse figure sanitarie, dal chirurgo al bioingegnere, dall’osteopata al chiropratico, dal fisioterapista al medico clinico [15]. FORCE è stata fondata nel 2013, perseguendo un’impronta funzionale e guardando tutte le materie scientifiche, in quanto per comprendere un tessuto o una cellula corporea, tutte le discipline scientifiche possono aiutare a capirne le differenti funzioni [31]. FORCE è in linea con la nomenclatura medica, considerando non solo il sangue e la linfa come tessuto connettivo, ma anche le ossa [15,31,32]. Il termine fascial continnum compare nei nostri articoli dal 2014, prendendo spunto da un testo del 1984 [33,34]. FORCE parte dalla conoscenza embriologica, da cui è possibile, in seconda analisi, definire un tessuto; da questo fondamentale passaggio possiamo affermare che diversi tessuti che derivano dal mesoderma e dall’ectoderma sono tessuti connettivi-fasciali [15,31,35-43]. FORCE definisce il continuum fasciale – sistema fasciale come segue: “the fascia is any tissue that contains features capable of responding to mechanical stimuli. The fascial continuum is the result of the evolution of the perfect synergy among different tissues, liquids, and solids, capable of supporting, dividing, penetrating, feeding, and connecting all the districts of the body: epidermis, dermis, fat, blood, lymph, blood and lymphatic vessels, tissue covering the nervous filaments (endoneurium, perineurium, epineurium), voluntary striated muscle fibers and the tissue covering and permeating it (epimysium, perimysium, endomysium), ligaments, tendons, aponeurosis, cartilage, bones, meninges, involuntary striated musculature and involuntary smooth muscle (all viscera derived from the mesoderm), visceral ligaments, epiploon (small and large), peritoneum, and tongue. The continuum constantly transmits and receives mechano-metabolic information that can influence the shape and function of the entire body. These afferent/efferent impulses come from the fascia and the tissues that are not considered as part of the fascia in a bi-univocal mode” (Figure 1) [31].

Embriologia del continuum fasciale

Durante la gastrulazione, dal mesoderma derivano le aree assiale (notocorda), parassiale (somiti) e laterale; quest’ultimo si dividerà ulteriormente (nella fase post-gastrulazione) in dominii anteriore e posteriore [44]. Il mesoderma condivide diverse vie trascrizionali con l’ectoderma, in particolare con le creste neurali e l’ectomesenchima (mesenchima derivato dall’ectoderma); le cellule delle creste neurali migrano (delaminazione) dal tubo neurale dorsale verso diversi organi e aree corporee differenti [45,46]. Da questi due strati, mesoderma e ectoderma, in un perfetto connubio ontogenetico deriveranno i tessuti che costituiranno il continuum fasciale (fascia solida e fluida), il quale rientra nella definizione di FORCE. Le altre organizzazioni che cercano di definire il tessuto fasciale come “connettivo”, non specificano l’origine embriologica del medesimo tessuto, il quale ha una doppia filogenesi, contraddicendo alcune nozioni scientifiche. Se solo il tessuto connettivo viene considerato fascia, e poiché lo stesso connettivo deriva anche dall’ectoderma, come considerare gli altri tessuti che derivano dal mesoderma e dall’ectoderma? E come considerare la parte del tessuto connettivo che deriva dallo stesso ectoderma? FORCE rimedia a tali gaps tramite la definizione del precedente paragrafo. Facendo degli esempi, le meningi del cranio, le quali sono considerate come fascia dalle altre organizzazioni e la nostra, sono organizzate in tre strati (seppure compenetrati); la dura madre dell’area del mesencefalo caudale e del proencefalo, la dura madre della falce cerebellare e la falce cerebrale deriva dall’ectoderma, mentre la dura madre della restante area cerebrale ha una derivazione mesodermica [35]. Il tentorium cerebelli, area di snodo di informazioni biomeccaniche, biochimiche e fluidiche, è costituita da uno strato esterno durale di derivazione mesodermica, mentre la pia e l’aracnoide hanno un’origine ectodermica [47]. Il quesito di cosa introdurre nelle definizioni classiche per delimitare il concetto di fascia, si ripropone dall’origine filogenetica doppia dell’area miofasciale cranio-cervicale. I 60 distretti contrattili del cranio formati da cellule precursori delle fibre muscolari (mioblasti), nascono dal mesoderma, ma il tessuto connettivo che separa le varie componenti e permette di fondersi con il tessuto osseo, deriva dall’ectoderma (lingua compresa) [35]. Il tessuto connettivo che crea la forma ai distretti dell’area del muscolo trapezio, e del muscolo sternocleidomastoideo, deriva sia dal foglietto mesodermico e sia dal foglietto ectodermico [35]. Ugualmente, il tessuto osseo dell’area craniale possiede una doppia filogenesi; alcuni deriveranno direttamente dal mesoderma (osso parietale), altre porzioni ossee dall’ectoderma (osso mascellare), mentre altri derivano da una fusione di entrambi i foglietti embriologici (osso frontale) [35]. Alcune suture ossee, come quelle che delimitano il confine tra le due ossa parietali, presentano una sutura che deriva dall’ectoderma [35]. Se lo stesso tessuto del corpo umano ha origini embriologiche diverse, come vengono delineati accuratamente i suoi confini dalle classiche definizioni? Nella definizione di FORCE, tale quesito non si crea. Inoltre, diverse cellule progenitrici ossee avranno un destino di formazione non ossea (tubo neurale e dura madre), e segnare un confine preciso tra l’ectoderma e il mesoderma nell’essere umano crea un errore nelle considerazioni finali delle classiche interpretazioni e definizioni di cosa è il tessuto fasciale [35]. Altri tessuti sono classificati come tessuto connettivo specializzato nei testi di medicina, eppure, non vengono minimamente considerati come tessuto fasciale dalla maggior parte degli Autori (sangue, linfa, fluido cefalorachideo, ossa) [48,49]. Questa è un’altra contraddizione. Perché? Probabilmente, chi ha iniziato a usare la terminologia della fascia per la medicina manuale non sapeva come usare tecniche manuali per tali tessuti e, adesso, è troppo tardi per tornare indietro [50-52]. “La difficoltà non sta tanto nello sviluppare nuove idee quanto nel fuggire da quelle vecchie” [4].

L’importanza della fascia fluida

I fluidi corporei (fascia fluida) danno forma e funzione al corpo (fascia solida) [41]. I vasi linfatici e sanguigni attraversano tutto il corpo, dall’epidermide all’osso, dai visceri al sistema nervoso (così come le ramificazioni neurali). La rete fluida (FN) e la rete neurale (NN) pervadono tutto il corpo, e nonostante il clamore dell’innervazione complessa sul tessuto fasciale solido (per alcuni Autori solo ciò che avvolge), se non ci fossero le FN/NN, non ci sarebbe neppure la funzione, la forma e gli eventuali sintomi [53-56]. Prima del movimento si devono creare le vie di nutrimento, pulizia e informazione. I vasi sanguigni sono sensibili non solo alla pressione esterna, ma alle differenti modalità di passaggio dei fluidi; come si comportano i fluidi, così si adatteranno i tessuti che li trasportano (vasi) e i tessuti che attraversano (dalle ossa alla cute), determinando forma e funzione [57]. Gli eritrociti e i macrofagi, cellule del sistema sanguigno e linfatico, cambiano la forma e la funzione in base alle pressioni che avvertono durante il loro trasporto dai fluidi (grazie a PIEZO1, un meccanotrasduttore o proteina di membrana del canale ionico) [58]. Gli eritrociti influenzano il meccanismo di vasodilatazione/vasocostrizione del vaso sanguigno, tramite un complesso rapporto tra l’ossido nitrico prodotto dalla membrana eritrocitaria e i canali proteici di sodio-potassio della membrana della muscolatura liscia [59]. I macrofagi attuano risposte infiammatorie quando la deformazione della loro membrana eccede una determinata soglia di segnale meccanico (quindi, non solo per segnali chimici), a causa delle pressioni del fluido con cui sono trasportati [60-61]. Una componente fluidica del corpo umano sono i fluidi interstiziali-matrice extracellulare (IFEM); rappresentano circa il 40% della massa corporea, e contengono circa il 30% delle proteine corporee [62]. IFEM sono in grado di influenzare la forma e la funzione delle cellule e dei tessuti. Per fare un esempio, il movimento di tali fluidi nelle ossa nel lacunar-canaliculi network permette agli osteociti di percepire e ampliare la percezione agli stress meccanici, migliorando la risposta meccanotrasduttiva [63]. I fluidi tra gli osteociti permettono alle medesime cellule ossee di comunicare tra loro, grazie a schemi direzionali e di pressione dei fluidi, grazie agli elementi biochimici trasportati, e grazie alla loro ubiquità, ogni variazione di spostamento fluido è immediatamente avvertito dalle cellule osteocitiche [63]. Il processo osteogenico ha maggiore impatto non grazie alla deformazione meccanica diretta alla membrana degli osteociti (l’appoggio del piede sul suolo), ma grazie al flusso dei fluidi tra le cellule [63]. IFEM funzionano come una rete non neurale, ma con il medesimo obiettivo, ovvero, comunicare e ricevere. La modalità di movimento dei fluidi incide sul comportamento delle cellule immunitarie. Grazie a determinati schemi di movimento dei fluidi (velocità, quantità, viscosità, turbolenza, direzione), il leucocita riconosce il comportamento immunitario da perseguire (adesione, migrazione, attivazione), grazie a proteine (selectine) di membrana attivate da stimoli fluidici; lo stimolo meccanico derivante dai fluidi è determinante per una corretta risposta immunitaria [64]. IFEM possiedono proprietà visco-elastiche, grazie alle componenti come il collagene, fibre elastiche (elastina, fibrillina), glicosaminoglicani, acqua, polisaccaridi; senza tali fluidi, le cellule e i tessuti non potrebbero comunicare correttamente e non potrebbero scivolare/muoversi [65]. La mancanza di movimento e di una comunicazione adeguata, porta alla malattia, dolore, infiammazione [65]. IFEM si ritrova in tutto il corpo, mettendo in comunicazione tutto il corpo, indipendentemente dagli strati o aree anatomiche; crea una continuità dove tutte le strutture, locali o sistemiche, sono in contatto, con un volume di fluidi che è tre volte in più rispetto alla somma del volume sanguigno e linfatico [66]. IFEM è in costante mutazione, e rappresenta un altro sistema di circolazione dei fluidi [66]. Il trasporto dei fluidi avviene grazie al movimento muscolare, dei visceri, della respirazione [66]. In particolare, i vasi sanguigni (venosi e arteriosi), trasportano in una doppia modalità i fluidi interstiziali. Una parte degli IFEM passa tra la tunica adventitia e lo strato paravascolare, con una velocità di circa 0.1-7,6 millimetri al secondo; quest’ultimo è un insieme di connettivo lasso che rende stabile il vaso sanguigno, rispetto ai tessuti circostanti [67]. IFEM trasportato verso il cuore tra il vaso e l’area paravascolare ha un flusso longitudinale. Sussiste un’altra direzione del flusso di tipo trasversale, tramite dei pori all’interno della tunica adventitia con una velocità di circa 3.6-15.6 millimetri al secondo; i fluidi passano tra le fibre che costituiscono la tunica [67]. Questi meccanismi di differenti direzioni, probabilmente, servono per filtrare i fluidi (differenti dimensioni molecolari); lo stesso meccanismo di filtraggio serve per trasportare correttamente segnali biomolecolari in aree distanti e cariche elettriche [67]. Un meccanismo simile lo ritroviamo nel sistema glinfatico [67,68]. Il fluido cerebrospinale (CSF), il quale scambia informazioni con il sistema glinfatico e venoso, secondo una recente ricerca, comunica con alcuni recettori midollari all’interno delle ossa del cranio per modulare un’eventuale risposta neuroinfiammatoria [69]. Viaggia tra lo spazio perivascolare dei vasi durali (dallo spazio subaracnoideo), per arrivare al midollo osseo delle ossa del cranio, tramite dei canali ossei; inoltre, questo viaggio è bidirezionale, ovvero, dalla dura al midollo osseo e viceversa [69]. Il midollo osseo craniale discrimina la qualità della composizione del CSF, e in base alle sostanze trasportate, potrebbe inviare segnali biochimici (infiammatori o non infiammatori) verso il sistema nervoso [69]. IFEM trasporta non solo molecole chimiche, ma anche cellule. Le cellule hanno un proprio campo bioelettrico, il quale può diventare uno strumento di comunicazione verso altre cellule, alterandone il campo elettrico [70]. La composizione fluida dell’IFEM trasporta altre tipologie di messaggi, come correnti elettromagnetiche, le quali possono coinvolgere aree distanti dal passaggio fisico dei fluidi [67]. Queste informazioni elettrice e magnetiche permettono alle cellule vicine e lontane di ricevere le stesse informazioni, seppure le stesse cellule possono avere risposte diverse; questo meccanismo permette ai tessuti di rispettare il loro comportamento morfogenetico o campo morfico [70]. Il movimento costante dei fluidi o fascia fluida garantisce l’integrazione sistemica elettromagnetica e la coesione cellulare [71]. I fluidi trasportano i campi elettromagnetici del acido desossiribonucleico (DNA) cellulare, in modo da mantenere la memoria del tessuto e condividere tale memoria con tutti i tessuti [71]. Lo stesso battito cardiaco genera campi elettromagnetici, i quali sono trasportati e distribuiti ai vari tessuti dai fluidi [72].

Dal modello teorico della tensegrità a quello della fascintegrità

Il termine tensegrità (integrità tensionale) deriva da un concetto architettonico, ideato dal designer R. Buckminster Fuller nel 1960; una struttura solida capace di gestire variazioni tensionali, tramite strutture capaci di assorbire e trasmettere la tensione meccanica (tensione continua con compressione discontinua) [56]. Il Dr. Robbie (1977) trasportò il concetto di tensegrità nel campo della biologia, cercando di determinare il comportamento meccanico tra la colonna vertebrale e struttura muscolare che agisce sulle vertebre [56]. Il Dr. Ingber negli anni settanta fece un passo ulteriore, ovvero provò a descrivere il comportamento della cellula, sempre da un punto di vista meccanico, con il concetto della tensegrità, laddove, i microtubuli rappresentano la continua tensione e il complesso proteico actomiosina rappresenta la compressione discontinua [56]. Il Dr Levin nel 1981 presentò un poster at the 34th Annual Conference on Engineering in Medicine and Biology, dove inserì il termine di biotensegrità, unendo il concetto architettonico a un ambito prettamente biologico; questa teoria considera il tessuto osseo come la componente in discontinua tensione meccanica, mentre i muscoli e le articolazioni rappresentano la componente in costante tensione o in pre-stress [56]. 

Nel 2022 il termine di biotensegrità viene ancora usato per spiegare il comportamento meccanico biologico, dalla cellula al tessuto, ma senza considerare i fluidi e altri meccanismi di trasporto informazionale che sono in grado di influenzare il comportamento cellulare, il modello teorico perde di valore [56]. Nel 2019 il nostro gruppo di ricerca (FORCE) coniò un nuovo termine, per provare a concettualizzare il comportamento del vivente, ovvero, fascintegrità; la parola unisce il termine di tensegrità al concetto di continuum fasciale (solida e fluida) [73]. Ricordiamo che, quando un modello teorico non è comprovato da studi sperimentali, il modello rimane teorico; il solo fatto di riportare il termine e il concetto che esprime una moltitudine di volte, non rende tale modello magicamente valido [74,75]. Il modello della biotensegrità e della fascintegrità rimangono, per ora, solo teoria concettuale. Quello che rende la fascintegrità più attuale, è l’inclusione dei fluidi (sangue, linfa, matrice extracellulare, fluidi interstiziali) nel concetto fasciale. In questo articolo di aggiornamento, desideriamo aggiungere un altro aspetto poco considerato nella comprensione del comportamento cellulare e tessutale, ovvero, altri strumenti di comunicazione nel sistema vivente, i quali non rientrano nel modello biotensegretivo.

Oscillazioni

Le oscillazioni o vibrazioni, ovvero, frequenze elettromagnetiche, riguardano tutto l’universo, un sistema di comunicazione di cui noi siamo parte integrante, come emettitori e ricevitori [76]. Ogni forma di forza che altera la forma della cellula, viene seguita dalla meccanotrasduzione, con effetti pleiotropici; questa forza può essere meccanica, elettrica, campi e radiazioni elettromagnetiche (luce e suono) [76]. Ogni forza ha un codice, evidenziata in forma di lunghezza d’onda, frequenza, direzione, tipologie di molecole e altro. Il principio di ogni cellula, il DNA, è una struttura oscillatoria in grado di risonare in riposta ad altre frequenze elettromagnetiche; queste oscillazioni muovono gli elettroni del DNA, permettendo alle diverse proteine che lo compongono di agire per rimodellare o stabilizzare le doppie eliche [76]. Il DNA ha e riconosce specifiche spectral signatures, in modo da creare connessioni locali e distanti [76]. La risposta specifica alle oscillazioni del DNA viene poi gestita dai microtubuli e microfilamenti della cellula, esattamente come un chip o un micro-cervello [76-78]. Questa visione del comportamento biologico si fonda sulla biologia quantica, dove si passa dalla microscala alla nanoscala [78]. Ogni cellula ha memoria e consapevolezza, indipendentemente dalla presenza neurale [78]. Rispetto al concetto della biotensegrità, dove la cellula o i tessuti non hanno consapevolezza o iniziativa, la biologia quantica permette di evolvere il concetto di fascial continuum, dove il modello della fascintegrità diventa dinamico e attivo. La cellula (e quindi, tutti i tessuti a livello macroscopico), incamera informazioni (senes); la somma delle informazioni codificate dal DNA è il senoma [79]. Il senoma risponde e si adatta costantemente con attività elettrica e poi molecolare [79]. Il senoma non ha bisogno di materia per evolvere, in quanto deriva dall’energia, come luce e suono (oscillazioni o campi di energia elettromagnetica); tramite la materia (dal DNA e verso tutti i tessuti e viceversa), il senoma crea l’inter-reciprocità informazionale dinamica di molteplici campi elettromagnetici, rendendo coesi i tessuti [80]. Il campo elettromagnetico interagisce tramite particelle come i biofotoni (luce) e fononi (suono), i quali creano uno strumento di dialogo con la materia tramite cariche elettriche [80]. Tutte le cellule di tutto il corpo sono in comunicazione tramite la visione della biologia quantica [81]. Quando il DNA e tutte le componenti della cellula attivano delle risposte specifiche ai biofotoni e biofononi (i quali arrivano con oscillazioni), gli elettroni delle doppie eliche e le differenti strutture cellulari rispondono, creando oscillazioni di pari ampiezza e ritmo, emettendo nuovi biofotoni e fononi; questi si espandono, creando nuovi campi elettromagnetici, sia localmente e sia distalmente [81]. Il corpo umano riceve ed emette costantemente campi elettromagnetici, per mantenere forma e funzione [81-83]. Le informazioni elettromagnetiche viaggiano come flussi [84]. Potremmo parlare di fascia olografica. I biofononi sono generati dalla cellula quando la stessa viene alterata nella sua forma (nanomovimenti), dalle oscillazioni dei biofotoni; la luce crea delle risposte delle strutture cellulari, tra le quali i biofononi [85]. La luce e il suono arrivano e derivano dalle cellule, permettendo un dialogo sistemico [85]. Potremmo affermare che l’essere umano è la risposta di una coerenza armonica di luce e suono. La stessa miofascia (complesso muscolare) quando effettua un’azione, produce un suono, il quale è registrabile da apparecchiature sensibili (dallo stetoscopio a un microfono sulla pelle), con una frequenza di 20-30Hz [86]. Secondo ipotesi di fisica quantistica, esistono dei campi quantici (luce e suono) che influenzano la percezione della materia da parte dei nostri sensi, creando la soggettività. La stessa fisica quantistica ci insegna che noi possiamo interagire con tali campi e formare campi quantistici propri. Da una parte siamo influenzati da quello che percepiamo con il tatto, ma dall’altra parte, possiamo cambiare la materia che tocchiamo, rendendo la medicina osteopatica molto concreta [87,88]. Un concetto simile alla biologia quantica viene descritto nel 1981 da Rupert Sheldrake, con i campi morfici. Il campo morfico (o morfogenetico) è un campo di informazione, un campo di coscienza che contiene tutte le informazioni relative ad una determinata specie. È un campo a cui tutti sono collegati e con il quale tutti entrano in relazione (risonanza morfica); è una sorta di coscienza collettiva, un’unica coscienza fatta dalla coscienza di tutti gli individui. Questo significa che aumentando la propria consapevolezza, aumenta anche nella coscienza collettiva, ma anche viceversa, ovvero, più aumenta la coscienza collettiva, più aumenterà la propria coscienza per effetto di risonanza. [89]. Tutto sentiamo e nel tutto diveniamo. Il sentire è già movimento e trasformazione. Non è possibile estrinsecarsi dal tutto, perchè noi siamo tutto. In istologia, molte cellule si ritrovano ubiquitariamente in tessuti differenti, come i fibroblasti e i telociti: come considerare in una visione fasciale questa mancanza di demarcazione funzionale tissutale? Un altro problema per la visione convenzionale sul sistema fasciale, il quale problema ricorda l’unicità della biologia quantica. Il concetto di biotensegrità non ha valore pratico per capire le azioni che si verificano a livello dell’attività biologica misurabili in una nanoscala; sono i nano-movimenti dei biofotoni e biofononi che determinano il comportamento a livello macroscopico [90-95].

Update 2022

La complessità del continuum fasciale non è ancora completamente compresa. È un errore racchiudere la fascia in una mera visione anatomica e istologica, perché altre scienze ci stanno dicendo che l’approccio verso il sistema fasciale per ottenere un’incisività clinica maggiore deve cambiare. Il solo pensiero meccanicistico-metabolico non è sufficiente, seppure è un ottimo principio. Rispetto al precedente update del 2021, e aggiungendo nuove informazioni riportare nell’articolo, abbiamo apportato delle piccole variazioni alla definizione che FORCE sostiene sul continuum fasciale; le variazioni sono segnalate in corsivo: “the fascia is any tissue that contains features capable of responding to mechanical stimuli. The fascial continuum is the result of the evolution of the perfect synergy among different tissues, fluids, and solids, capable of supporting, dividing, penetrating, feeding, and connecting all the districts of the body: epidermis, dermis, fat, blood, lymph, blood and lymphatic vessels, tissue covering the nervous filaments (endoneurium, perineurium, epineurium and paraneurium or circumneurium), voluntary striated muscle fibers and the tissue covering and permeating it (epimysium, perimysium, endomysium), ligaments, tendons, aponeurosis, cartilage, bones, meninges, involuntary striated musculature and involuntary smooth muscle (all viscera derived from the mesoderm), visceral ligaments, epiploon (small and large), peritoneum, and tongue. The continuum constantly transmits and receives mechano-metabolic-quantum information that can influence the shape and function of the entire body. These afferent/efferent information come from the fascia and the tissues that are not considered as part of the fascia in a bi-univocal mode”. L’evoluzione ci impone di osservare la stessa materia con pensieri diversi [96]. Le immagini sottostanti riassumono alcuni concetti dell’articolo. La figura 3 mette in evidenza l’importanza delle oscillazioni rispetto all’ottica più usuale di osservare la fascia (Figura 2).

Conclusioni

Quando si cerca di affrontare la comprensione del continuum fasciale, occorre tenere presente le differenti discipline scientifiche che costituiscono e che studiano il corpo umano, e non solo alcune materie per comodità di percorso scolastico. Il testo ha incluso componenti di embriologia e di biologia quantica, materie che raramente sono incluse per inquadrare il concetto di fascia. La fascia ha delle componenti solide, fluide e elettromagnetiche, le quali creano un perfetto mosaico funzionale osservabile a livello macroscopico e nanoscopico. L’articolo ha rivisto il concetto e le informazioni che FORCE propone da diversi anni, un’organizzazione no-profit con nessun copyrigth e che include moltissime figure scientifiche di diversa estrazione. Il tessuto fasciale riguarda la salute del paziente, e dovrebbe essere guardato come uno strumento importante per trovare soluzioni più idonee per il mantenimento della stessa salute. Capire e applicare, non sempre sono sinonimi. Ci auguriamo che lo studio su tale meraviglioso ambito biologico possa evolvere sempre di più, senza autoritarismi o interessi economici.

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